
MARIO ROSSELLO: DAL TOTEM ALL’ALBERO
Luciano Caprile
In Mario Rossello si assapora, attraverso un variabile e palpabile crescendo, l’importanza del mito, della forma (in seguito anche del movimento) ma soprattutto emerge lo specchio emblematico, almeno all’inizio, dell’inquietudine esistenziale. Tale discorso si avvia in pittura verso la metà degli anni Cinquanta ed è documentato nell’attuale circostanza da un’opera di plastica essenzialità descrittiva come Tensione nell’aria del 1956 che trova in Figure del 1958 un caustico rimando espressivo. Un interessante riscontro strutturale e concettuale, da tradursi in un valore aggiunto a tale problematica, viene evidenziato dai coevi lavori in ceramica dal deciso impatto totemico alimentato dalla frequentazione albissolese di Matta e di Lam. Un simile approccio ritornerà in seguito a sollecitare l’interesse del nostro autore al pari di quei personaggi da lui creati negli anni Sessanta e Settanta per denunciare lo smarrimento dell’umanità aggredita dalla tecnologia (si vedano in proposito i bronzi intitolati Uomo del 1969 e 1970 e Alla finestra, un marmo bianco del 1969) e destinata a un comportamento alienante dal momento che è stata privata di ogni concetto autonomo e di ogni sguardo autentico: così ci appaiono le terrecotte concepite nel 1996 denominate Il riposo, Il pensatore.
In tale contesto irrompe “l’albero” come elemento liberatorio di gesti e di pensieri frutto da una parte della spinta dinamica di matrice futurista e dall’altra di quel processo di sintesi e di formulazione mentale attivato da Mondrian. Dal punto di vista più strettamente compositivo, se la realizzazione dei soggetti precedenti avevano trovato nelle “terre” un approdo decisamente tridimensionale, ora per Rossello si prospettavano due soluzioni: trasferire su un piatto o su una brocca quest’ultimo soggetto di indagine, arricchendolo all’occorrenza di ogni valore cromatico e materico grazie anche al magico intervento del fuoco, oppure scegliere la via della scultura dove questo “albero” potesse esibire una parziale tridimensionalità a tutto vantaggio di un immediato impatto emozionale di tipo frontale. Nel tondo dei piatti la chioma frastagliata può invece contenere un calligrafico e insistito motivo segnico (lo si può notare nelle terrecotte Albero giallo e Giallo come il sole del 1981: la prima smaltata, la seconda maiolicata e graffita) oppure può evidenziare un racconto anche tattilmente percepibile dove il disegno disperde intorno a sé frammenti di palpabile suggestione cromatica (Alberi e foglie e Dissolvenza del 1998). Quando infine ci si accosta all’opera ritagliata nello spazio che l’avvolge e di volta in volta ne assorbe e ne condivide il fascino, si viene sollecitati da diverse soluzioni formali che vanno dalla monocromatica dinamicità dell’Albero bianco del 1995 all’austera e arcaica essenzialità dell’Albero nero del 1990 per finire all’Italia tricolore del 1996 che ricorda e sigilla, nell’attuale omaggio a Rossello, i centocinquanta anni dell’unità del nostro Paese.
L’arte interroga dunque la vita e la traduce in quell’eterno viaggio d’intima conoscenza che Mario aveva inteso fin dagli esordi e che queste opere ribadiscono con immutata, nostalgica seduzione.