
MARIO ROSSELLO: UOMO, ARTISTA E AMICO
Conte Paolo Marzotto
Vi sono particolari eventi che danno l’occasione nella vicenda umana a momenti di riflessione e di ricordi inattesi. Tra questi la celebrazione dei valori di una persona con la quale si sono via via intrecciati, nel corso degli anni, i rapporti di amicizia e di reciproca stima. Così è stato per Mario Rossello a cui ho sempre espresso particolare apprezzamento per la sua arte di pittore, scultore e ceramista. In questo momento, segnato dalla esposizione a Lui dedicata nella Pinacoteca Civica di Savona, riaffiorano le occasioni, le frequentazioni, gli incontri che hanno via via segnato un’amicizia sentita e ancor più apprezzata perché mai venuta meno, dall’incontro a Milano nei primi anni Sessanta sino alla sua scomparsa nel 2000. Ricordo le frequenti visite al suo studio in via della Spiga, le rapide e sapide colazioni in piccoli ristorantini di quartiere tra cui il Gualtiero Marchesi prima maniera e le frequenti discussioni sulla sua formazione artistica e le ispirazioni che l’avevano determinata.
La vita culturale milanese in quell’epoca era un’attività quasi esclusivamente riservata agli addetti ai lavori e pochi erano tra questi i collezionisti di arte contemporanea, quindi l’appartenenza ad una scuola piuttosto che ad un’altra consentiva un colloquio costante tra colleghi di diverse tendenze ed ispirazioni, ma tutti amici e rispettosi del lavoro altrui. Così fu che Mario venne catalogato fra gli appartenenti alla Nuova Figurazione. Non credo abbia mai contribuito a questa collocazione e a me diceva di provare una grande attrazione per il movimento ottocentista denominato “scapigliatura”. A me parve che questa sua predilezione fosse la scelta di un pittore figurativo, legato sul piano artistico e sociale alle condizioni umane ed intuitivamente conscio dei contrasti impliciti nella confrontazione tra il capitalismo e la classe operaia.
Le sue produzioni più rilevanti negli anni Sessanta rappresentano un’analisi critica nelle sue Civiltà delle macchine, Conversazioni ed altre opere in cui emerge la spersonalizzazione dell’individuo, rappresentato come un automa non riconoscibile quasi volesse arrivare ad un confronto con l’arte prevalentemente astratta della Milano degli anni Sessanta. Questo suo gesto socialmente rivoluzionario poteva consentirgli di ritenersi un successore novecentista del movimento bohèmien sorto in Francia e molto attivo nella Milano degli anni Sessanta del 1800.
Io, per questa sua garbata ma profonda intuizione, fui molto attratto sia dalla qualità pittorica che dall’importanza del segno che si ritrova nella scultura sia in bronzo che in marmo e che sconvolge da un lato la sua iniziale attività artigianale ad Albisola e poi nello sviluppo della sua carriera verso gli anni Novanta, al di fuori del mondo dello scontro sociale e in una astrazione del pensiero dal dubbio alla speranza rappresentata dalla natura e concentrata sulle grandi sculture di cui forse la più importante, commissionategli da Renzo Piano, è nel sagrato della Chiesa di Padre Pio da Pietralcina a San Giovanni Rotondo.
Gino Rossello, fratello di Mario e mio coetaneo solo di qualche ora più vecchio di me, annunciandomi l’esposizione prevista nella terza decade di ottobre, mi ha chiesto di dedicare al caro fratello un mio ricordo e ciò ho fatto.
Forse qualcuno potrà pensare che un oltre ottuagenario ha scarsa memoria; di rimando affermo che le cose sentite e i valori acquisiti e trasmessi sono una ricchezza che l’essere umano in buona salute conserva sino alla fine.