
VIA SPIGA IN COMUNE PER ROSSELLO E PER ME
Milena Milani
Nell’ultimo periodo delle nostre vite, abbiamo avuto Via Spiga, a Milano, nel nostro destino comune. Per me, all’angolo di Via Manzoni; per Mario Rossello, alla fine, più o meno verso Corso Venezia. Caseggiati antichi ricostruiti, dopo l’ultimo conflitto, con materiale di scarto, recuperato tra mucchi di macerie; mattoni pieni, non forati, intonachi di colori mutevoli, graffiati, torturati; fili elettrici sconvolti; prese e spine visibili, di porcellana scheggiata, insomma stavamo in piedi per miracolo, ma c’era Via Spiga, anzi Via della Spiga, a fare figura, a darsi un tono. Ci illudevamo di andare indietro, quando a pronunciare quel nome, ritornava a galla il gallerista Cairola con le sue donne di contorno, le prime giornaliste che si dessero da fare nell’arte contemporanea, come la Pensotti, bionda ossigenata, e sua sorella, bruna, piacevole come una creatura del Sud, colma di mosse, di provocatorie invitazioni. Arte e bellezza, intelligenza, savoir faire, due ragazze a Milano, dalla stessa città di provincia alla capitale industriale d’Italia, con l’identico punto di riferimento, quel veneziano uscito dall’acqua stagnante della Laguna, che si chiamava Carlo Cardazzo, commendatore insignito da un ministro fascista, Bottai, ma lui, anche con l’onorificenza, la terribile guerra l’aveva scampata, e adesso rifulgeva in campo artistico, con amicizie altolocate, quella del pittore Cesetti che sapeva trovare opere d’arte ovunque, e quella dell’altro pittore, Massimo Campigli, con una moglie di misteriose tendenze, che mi dava appuntamenti in latteria, mi toccava le gambe, mi invitava al pranzo dei formaggi dove non si beveva che vino e ci si ubriacava come mai era capitato. Ecco quali erano le giornate a fine 1945 con la Galleria del Naviglio in fondo a Via Manzoni, affacciata su Piazza Cavour, i palazzi sbriciolati a sinistra, dove di notte con un’orchestrina avremmo suonato e ballato sino all’alba, in quella che chiamammo Birreria Cavour. Lì su un palco di fortuna ci alternavamo a cantare, a inventare programmi dove l’arte diventava un mitico gioiello di cui cingevamo la fronte come di un diadema. Vent’anni passarono in fretta, Cardazzo morì a fine 1963, e io andai a vivere in quella che diventò la strada della moda, la Via della Spiga attuale, pur tenendo sempre l’atelier di Via Manzoni dove, però, dal secondo piano ero finita alle soffitte sotto il tetto pieno di topi. Mettevo il veleno negli angoli verso gli abbaini, salivo su una scala altissima per avvicinarmi al cielo. Rossello invece lavorava a pianterreno in un cortile acciottolato. Ci incontravamo spesso, il nostro avvenire appariva sempre più precario ma stavamo diventando celebri. Io non aprii mai le finestre che guardavano Via Manzoni, mi erano venuti i complessi, non potevo affacciarmi su quella strada.
Albisola, domenica 25 giugno 2012